L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 - meglio conosciuto come “jobs act”, che ha dettato norme in materia di contratto di lavoro a tutele crescenti - ha aperto un dibattito interpretativo delle norme ed in particolare di quelli che riguardano i lavoratori disabili.
A tale riguardo, merita attenzione la questione della tutela dei lavoratori invalidi in caso di licenziamento illegittimo, il problema riguarda gli articoli 2 (licenziamento discriminatorio nullo) e 3 (licenziamento per giustificato motivo e giusta causa).
La prima norma prevede, accanto ai licenziamenti nulli e quelli disciplinari per fatto materiale insussistente, una ulteriore ipotesi di reintegrazione riferita al caso in cui il Giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore. In ordine a tale previsione sono nati dubbi interpretativi derivanti innanzitutto dalla considerazione che, originariamente, il legislatore collocava la disposizione dell’articolo 3 del dlgs e usava il termine “inidoneità psichica o fisica”.
Come è noto l’articolo 3 disciplina le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa, escludendo, in via generale, la reintegrazione in ipotesi di illegittimità e prevedendo soltanto una condanna di tipo risarcitorio. Nell’effettuare questo spostamento, il legislatore ha utilizzato il termine “disabilità” sostituendo a quello di “inidoneità”.
Conseguentemente, il problema che si è aperto è stato quello di individuare, in via interpretativa, se il legislatore abbia voluto identificare i termini di disabilità e di inidoneità o mantenerne netta la distinzione e quindi la disciplina. Le opinioni, manifestate nelle prime interpretazioni, risultano diverse e non conciliabili.
Al fine di contribuire al dibattito in corso si ritiene di rassegnare alcune valutazioni partendo dall’esame di tre distinte fattispecie su cui può innestarsi una procedura di licenziamento.
Si tratta dell’ipotesi di “licenziamento per la mera condizione di disabile” del lavoratore, di licenziamento per “inidoneità lavorativa risultata insussistente”, di licenziamento per “inidoneità lavorativa e impossibilità di collocamento in mansioni diverse all’interno dell’azienda”.
Sotto il primo profilo, qualora il licenziamento del lavoratore avvenga esclusivamente per effetto della sua “condizione di disabilità”, si è inequivocabilmente in presenza di un licenziamento discriminatorio, tutelabile, ai sensi dell’articolo 2 del dgls n. 23/2015, con la reintegra e il risarcimento dei danni.
Nell’ipotesi di sopravvenuta “inidoneità al lavoro”, laddove dovesse riscontrarsi “l’insussistenza del fatto” la tutela applicabile è quella dell’articolo 3, secondo comma del dlgs citato con la reintegra e risarcimento del danno.
Nell’ipotesi, infine di inidoneità alle mansioni svolte e di impossibilità di assegnare il lavoratore disabile ad altre, dovrebbe ritenersi applicabile il primo comma dell’articolo 3 del decreto legislativo citato e le disposizioni previste per i licenziamenti economici.
Quest’ultima fattispecie, però, non può non tenere conto della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e dell’ormai consolidato principio del “ragionevole accomodamento” fatto proprio della legge n.99/2013, art. 4/ter, che impone una puntuale considerazione degli atti posti in essere dal datore di lavoro per consentire al disabile di prestare comunque la sua attività lavorativa anche dove le mansioni di assunzione siano divenute incompatibili con le sue condizioni di salute.