INCLUSIONE SCOLASTICA - PRESENTATE UFFICIALMENTE LE OSSERVAZIONE DELL’ANMIC AL MINISTRO E AI COMPONENTI DELLA VII E XII COMMISSIONE RELATIVE AL DECRETO LEGISLATIVO ATTO CAMERA N. 378 RIF LEGGE 107
Nel richiamare gli atti già trasmessi, frutto degli apporti resi dalle Associazioni di categoria appartenenti alla FAND, l’ANMIC rimette alcune ulteriori considerazioni sugli aspetti strutturali del sistema dell’inclusione scolastica.
Il Decreto legislativo Atto Camera n. 378, nel testo trasmesso alle Commissioni di Camera e Senato per il parere, presenta una sostanziale discrasia tra i principi enunciati e le finalità perseguite nell’ambito della disciplina dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e gli strumenti, le procedure, le caratteristiche e i soggetti nella stessa coinvolti.
Sicuramente una inclusione scolastica rispondente ai differenti bisogni educativi e finalizzata allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno così come la necessità della condivisione dei progetti inclusivi fra scuola, famiglie ed altri soggetti pubblici e privati operanti sul territorio, nonchè la previsione di piani educativi individualizzati, quali parte integrante dei progetti individuali di vita, costituiscono punti di totale condivisione, da sempre sostenuti dalle Associazioni di categoria e in particolare dalla ANMIC.
Tuttavia il decreto manca di consentaneità sotto molti profili rispetto agli scopi prefissati.
Innanzitutto in ordine al ruolo dello Stato e degli Enti locali le norme palesano più “buone intenzioni” che una azione forte di sostegno all’inclusione scolastica.
Lo Stato, dice il DLGS, “assegna alle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione un contributo economico, parametrato al numero degli alunni e studenti con disabilità accolti e della percentuale di alunni con disabilità rispetto al numero complessivo degli alunni frequentanti”.
La previsione di sostegno economico è indeterminata e fa riferimento a dati numerici senza tener conto della tipologia dei piani individuali di inserimento e delle specificità dei mezzi di sostegno necessari alla inclusione valutata in relazione alla individualità di alunni e studenti.
Allo stesso modo, risultano peggiorative le norme che prevedono non più di 22 alunni per classe ove siano presenti alunni con disabilità: sarebbe opportuno mantenere la soglia a 20 con eventuale deroga e con il limite di due disabili per classe di cui uno con disabilità lieve.
Agli Enti locali è affidato il compito di assegnare alle scuole personale dedicato all’assistenza educativa e per l’autonomia e l’educazione personale, l’istituzione di servizi di trasporto e accessibilità e fruibilità degli spazi fisici delle istituzioni scolastiche, ma “nei limiti delle risorse disponibili”.
Ora è di tutta evidenza che gli Enti locali, strutturalmente deficitari, obbligati al pareggio di bilancio e senza fonti specifici, non potranno mai adempiere alle finalità che la legge attribuisce loro.
Per cui il legislatore mostra buone intenzioni che però resteranno sulla carta.
Manca, in sostanza, in tutte le previsioni di interventi pubblici la individuazione delle risorse necessarie per assicurare i servizi.
Ma la cosa più grave è che manca la previsione di livelli essenziali di prestazioni necessarie a garantire l’inclusione scolastica che il legislatore dovrebbe necessariamente individuare al fine di garantire una uniformità in tutte le scuole del Paese.
Quanto alle procedure e alla valutazione dei disabili ai fini dell’inclusione scolastica si deve evidenziare la complessità del sistema sia sotto il profilo dell’organizzazione che delle fasi in cui si articola.
Innanzitutto, troppi i soggetti pubblici coinvolti: Ministero della salute, Ministero dell’istruzione dell’Università e della ricerca, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero per gli affari regionali, Conferenza Stato-Regioni per individuare i criteri di redazione del documento dell’accertamento della disabilità con riferimento all’ICD e i criteri per la valutazione diagnostico-funzionale secondo il sistema ICF.
La molteplicità dei passaggi e pareri e le difficoltà di tradurre in norme cogenti i criteri dei sistemi ICD e ICF (da anni si discute sull’applicabilità all’accertamento dell’invalidità civile, cecità, sordità, handicap e disabilità senza mai raggiungere un risultato) fanno ritenere difficilmente realizzabile, quantomeno a breve, un sistema di riforma valutativo.
La stessa previsione che affida all’INPS l’elaborazione delle linee guida contenente i criteri per la definizione e la redazione della documentazione del medico specialista ai fini dell’inoltro della domanda di accertamento dei presupposti per l’inclusione scolastica è prova della complessità del sistema e della sua non coerenza, non potendosi ritenere congruo affidare ad un soggetto terzo l’indicazione dei criteri di predisposizione della documentazione medico-legale senza che questi abbia preso parte alla elaborazione dei criteri di valutazione.
Criticità sono presenti nella individuazione delle Commissioni per l’accertamento della disabilità e la valutazione diagnostico-funzionale.
Innanzitutto, sarebbe stato più adeguato mantenere la composizione delle stesse secondo i criteri dettati dalla legge 295/90, con la importantissima previsione che i componenti medici devono essere specialisti in pediatria e in neuropsichiatria infantile, anche con riferimento a quelli nominati dalle Associazioni di categoria legittimate.
Dubbi sussistono sulla necessità di una presenza medica dell’INPS, risultando le competenze dell’Istituto estranee alle problematiche dell’inclusione scolastica.
Mentre, appare significativa la presenza nella valutazione diagnostico-funzionale di un terapista della riabilitazione, un operatore sociale e un rappresentante dell’Amministrazione scolastica che, unitamente ai rappresentanti delle Associazioni di categoria (la cui posizione va rafforzata e non preclusa) possono svolgere adeguatamente la valutazione necessaria per la redazione di un progetto di sostegno scolastico.
Inaccettabile risulta, invece, l’inciso contenuto nella legge che la presenza di tali ulteriori soggettività avvenga solo “nell’ambito delle risorse disponibili” e, quindi, non in modo permanente.
La procedura di valutazione è complessa e è auspicabile una semplificazione in due fasi, una medico-legale e di diagnosi funzionale e una di elaborazione del progetto individuale e delle relative risorse, attraverso tavoli congiunti e non sulla base di uno sviluppo lineare. Si rileva, inoltre, che i tempi procedimentali sono dettati solo per l’accertamento (30gg.) e l’invio documenti (30gg.), mentre per le ulteriori attività non sussistono certezze in ordine al loro sviluppo temporale. Si prevede che l’Ente locale predisponga il suo Progetto individuale e lo trasmetta alla scuola che elabora il PEI (Piano Educativo Individualizato): potrebbero farlo congiuntamente eliminando un passaggio e raccordandosi maggiormente. Troppa procedimentalizzazione e allungamento dei tempi, senza tener conto dell’apertura dell’anno scolastico.
In ordine al gruppo per l’inclusione territoriale i compiti allo stesso riservati dovrebbero essere quelli di determinare le sole risorse aggiuntive e specifiche del progetto individuale rispetto a quelle relative alle prestazioni essenziali, escluse dalla discrezionalità, perché garantite direttamente dalla legge.
Manca la previsione della presenza nell’Organismo sia di rappresentanti delle famiglie sia delle Associazioni di categoria.
Anche i compiti del GIT che, esaminate le valutazioni diagnostico-funzionali, il progetto individuale, il piano per l’inclusione trasmesse dalle Istituzioni scolastiche, propone all’Ufficio Scolastico Regionale la quantificazione delle risorse di sostegno didattico per l’inclusione da assegnare a ciascuna scuola, appaiono affidati ad Organismi eccessivamente lontani dalle esigenze degli alunni e delle loro famiglie, in quanto una efficace presa in carico dell’inclusione necessita di gruppi di riflessione più vicini all’unità scolastica. Le risorse di sostegno e di assistenza per ogni alunno vanno definite congiuntamente tra la scuola e l’ente locale mediante tavoli di lavoro comune.
In merito ai docenti di sostegno, si ribadisce soltanto che, pur apprezzando la permanenza decennale nel ruolo (con le dovute riserve circa il raggiungimento del compiuto decennio), non si intravedono strumenti che condizionino il docente ad impegnarsi in una continuità didattica perlomeno triennale a favore dell’alunno disabile. Magari nella contrattazione sindacale si potrebbe pensare ad un incentivo salariale.
Un ulteriore aspetto deve essere sottolineato ed è quello che nel decreto legislativo 378 risulta assente il confronto e l’apporto nell’intero processo inclusivo e valutativo, delle famiglie dei disabili e delle Associazioni, cancellata l’integrazione tra servizi sanitari, servizi sociali, scuola e famiglia, per la redazione della valutazione diagnostica funzionale.
Ribadiamo, quindi, le nostre perplessità rispetto a siffatto provvedimento.
Roma, lì 06/02/2017
IL PRESIDENTE NAZIONALE ANMIC
Prof. Nazaro PAGANO