Come cambierà la scuola italiana? Facciamo il punto sui problemi, le criticità, le speranze. Tema cruciale: migliorare la qualità dell’integrazione degli studenti disabili
Da qualche settimana è iniziato il nuovo anno scolastico, il primo dopo l’approvazione della “Buona Scuola”, la riforma Renzi-Giannini che in estate ha ricevuto il via libera del Parlamento. Una riforma che apporta una serie di novità e che spinge i sindacati, le associazioni di categoria, gli operatori della scuola ad affilare le armi in vista di un periodo che si preannuncia già caldo. Il nuovo anno scolastico parte in salita: saranno ad esempio circa 1700 (quasi una su cinque) le scuole che per l’anno 2015/2016 resteranno senza preside titolare. Una parte - circa 400 sedi - sono sottodimensionate a causa di un numero insufficiente di alunni e saranno affidate ad altrettanti presidi che dovranno gestire due scuole insieme. L e altre - circa 1.200/1.300 istituti - non hanno un preside titolare, dato che i pensionamenti degli ultimi anni non sono stati rimpiazzati. Nel primo anno della Buona scuola, dunque, oltre 3mila e 200 istituti - il 40 per cento del totale - avranno un preside part-time, che dovrà dividersi su due scuole e affrontare le emergenze di un numero maggiore di plessi.
A complicare l'avvio dell'anno scolastico anche il mancato esonero dall'insegnamento dei vicari, abolito dalle legge di stabilità. Anche un altro punto fondamentale della riforma sembra ancora lontano per poter essere realizzato. Lo svuotamento delle graduatorie dei precari e la fine della “supplentite” sono obiettivi ancora piuttosto lontani considerato che le graduatorie provinciali ad esaurimento resteranno in piedi ancora per qualche anno. Un altro degli argomenti che tanto ha fatto discutere dopo l’approvazione della riforma della scuola è quello relativo all’esodo verso il Nord degli insegnanti. La gran parte della disponibilità di cattedre è infatti nelle regioni settentrionali, la maggioranza dei precari invece viene dal Sud: tanti docenti dunque rischiano di finire a lavorare a centinaia di chilometri da casa. Per attenuare questo esodo il ministero dell'Istruzione ha introdotto una misura nella circolare delle supplenze che consentirà a coloro che sono stati nominati in un'altra regione, ma che trovano una supplenza vicino casa, di rimanere in provincia e rinviare il trasferimento al primo luglio 2016.
Non meno critica la situazione dell’edilizia scolastica fatta di luci e ombre, con eccellenze e situazioni più difficili sulle quali è necessario intervenire.
Dalla lettura dei dati statistici emerge una situazione delle scuole piuttosto variegata. In ogni caso, sia gli aspetti positivi sia gli elementi di maggiore criticità sono il prodotto di problemi stratificati nel tempo, nel corso dei decenni passati. Un dato risulta con maggiore evidenza dalle informazioni disponibili sul periodo di costruzione degli edifici, secondo cui il 4% di essi è stato costruito prima del 1900. E la maggior parte, il 44% delle scuole, in un periodo che va dal 1961 al 1980. Una eredità, questa, che incide e assume un significato per i diversi aspetti sui quali l’anagrafe dell’edilizia scolastica pone l’attenzione, in particolare per quanto riguarda il rischio sismico e le normative antincendio.
Per quanto riguarda la normativa antincendio è necessario fare alcune considerazioni preliminari. A fronte di un dato che vede solo il 17,7% degli edifici in possesso del relativo certificato di prevenzione incendi (CPI) è opportuno precisare che condizione necessaria per ottenere il CPI è il rispetto di tutti i requisiti previsti dalla normativa. Il mancato rispetto di uno solo di tali requisiti comporta, dunque, il non ottenimento del certificato. Da questo punto di vista, è comunque doveroso ricordare che - tra i requisiti previsti - il 66,5% delle scuole possiede un impianto idrico antincendio; il 49,3% dispone di una scala interna di sicurezza; il 61,5% possiede la dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico; il 63% è munito di un sistema di allarme; il 98,3% è in possesso di estintori portatili; il 95,1% possiede un sistema di segnaletica di sicurezza. In ogni caso, sono le regioni del Sud che presentano, da questo punto di vista, le maggiori criticità.
Un’altra criticità p legata al tema del rischio sismico ed è strettamente collegata a due elementi più generali: le caratteristiche geologiche del territorio italiano costituito, come noto, da numerose aree sismiche e i periodi di costruzione del patrimonio immobiliare scolastico.
Come già evidenziato, la maggior parte degli edifici scolastici è stata costruita tra gli anni ’60 e gli ’80, un periodo nel quale i criteri di costruzione degli edifici erano scarsamente influenzati da una “cultura antisismica” che solo di recente è andata consolidandosi in Italia. Ma intervenire su tali edifici, costruiti secondo standard ormai superati, al fine di adeguarli alla attuale normativa risulta, stando a quanto dichiarato da esperti e tecnici, del tutto inefficace. Unico rimedio, dunque, è quello di costruire nuovi edifici secondo gli attuali requisiti normativi e coerenti con le necessità legate all’evoluzione tecnologica che caratterizzerà i nuovi modelli scolastici.
Il progetto di riqualificazione vede coinvolto il Ministero su più fronti: da una parte, così come previsto dall’art. 53 del decreto semplificazioni, sono in via di predisposizione, da parte di una commissione, le linee guida in materia di edilizia scolastica, con particolare riferimento all’architettura interna delle scuole corrispondente ai processi di innovazione in atto (Agenda Digitale Italiana). Dall’altra parte, dal punto di vista operativo, il Miur - in collaborazione con Regioni ed Enti locali quali proprietari degli immobili e soggetti istituzionalmente competenti in materia - intende promuovere la costituzione, a livello territoriale, di fondi immobiliari. Questi strumenti possono consentire di raggiungere l’obiettivo di costruire nuove strutture superando, ad esempio, i limiti di spesa imposti dal Patto di stabilità interno. Nel caso di utilizzo dei fondi immobiliari, la realizzazione delle opere, l’investimento necessario e l’eventuale indebitamento sono, infatti, completamente a carico del fondo stesso, cui parteciperanno Comuni, Province, altri enti istituzionali presenti sul territorio, nonché il Ministero. Il fondo dovrà valorizzare gli immobili obsoleti e realizzare le nuove strutture, restituendo all’Ente locale un patrimonio immobiliare scolastico nuovo ed efficiente. Le risorse a disposizione del Miur destinate all’edilizia scolastica contribuiranno, come cofinanziamento, alla realizzazione di questi fondi.
Quali novità per gli alunni disabili?
Il piano per la “Buona scuola – facciamo crescere il Paese” presenta una attenzione limitata al tema dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità che si concentra esclusivamente al punto 3.6. L'inclusione scolastica degli alunni con disabilità, a livello di impianto generale del documento, dovrebbe essere trattata secondo la modalità del "mainstreaming" in tutto il testo ed a seconda dei vari ambiti analizzati.
È evidente, inoltre, come rispetto alle problematiche dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, il disegno si concentri sulla figura dell’insegnante di sostegno, quale unica figura e più importante risorsa per una “buona” inclusione scolastica.
Se positiva è la stabilizzazione con l’immissione in ruolo di un notevole numero di docenti curricolari e per il sostegno, che evita così il precariato e contemporaneamente garantisce la continuità didattica - miraggio ormai da anni per gli alunni, soprattutto se con disabilità - appare, invece, una lacuna nel processo di formulazione dell’impianto “La Buona scuola…” la mancanza di qualsiasi previsione di formazione dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive, elemento questo fondamentale per una buona inclusione scolastica. La ANMIC con FAND e FISH, le due federazioni più rappresentative dei disabili, hanno infatti insistito affinché ciò fosse appositamente previsto nell’art. 16 della L.n. 128/2013.
Senza la formazione dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive, secondo noi, permarrà e si aggraverà il fenomeno della delega dei docenti curricolari ai soli colleghi per il sostegno, con lo snaturamento della cultura e della prassi inclusiva italiana e la conseguente crescita esponenziale dei ricorsi al TAR da parte di quei genitori che, vedendo i propri figli abbandonati in fondo alla classe o addirittura fuori da essa, vorranno ottenere il massimo delle ore di sostegno. Una “buona scuola” deve necessariamente quindi assicurare una “buona inclusione”.
Valutiamo positivamente la previsione della valutazione della qualità del sistema di inclusione; ma perché ciò funzioni è necessario prevedere alcuni indicatori strutturali, di processo e di esito per poter misurare la qualità inclusiva delle singole classi e delle singole scuole. La conseguenza è che si potrebbero premiare le scuole dove l’inclusione è realizzata significativamente e favorire o meglio ancora pretendere una inversione di tendenza dove ciò avviene in modo non adeguato e privo dell’impegno dovuto.
In sintesi le problematiche della scuola dovrebbero essere valutate e commisurate sui diritti degli alunni e degli studenti e sulle ricadute in termini di risultati d'inclusione sociale e lavorativa anche dopo la scuola, di acquisizione quindi di competenze per entrare nella società e nel mondo del lavoro, in particolare per gli alunni con BES e naturalmente con BES più elevati.
Per tali ragioni, riteniamo indispensabile che la riforma generale della scuola debba contenere anche sistematicamente una riforma della normativa per migliorare l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri BES (bisogni educativi speciali).
A tal proposito si fa riferimento alla proposta di legge (Atto Camera 2444 attuale legislatura primo firmatario On. Fossati) fatta presentare dalle Associazioni aderenti alla FAND ed in particolare ad ANMIC e dalla FISH.
I punti caratterizzanti questi aspetti trasversali della riforma possono così riassumersi:
1. Obbligo di presa in carico del progetto inclusivo degli alunni con disabilità nella classe da parte di tutti i docenti curricolari, aiutati da quello per il sostegno. A tal fine è da prevedere l’obbligo della formazione iniziale ed in servizio sulle didattiche inclusive per tutti i docenti curricolari.
2. Costituzione di appositi ruoli di sostegno al fine di evitare scelte strumentali su questa carriera e indirizzare i docenti ad una scelta professionalmente precisa.
3. Attuazione degli organici funzionali di reti di scuole per i posti organici di sostegno.
4. Continuità didattica per i docenti di sostegno a tempo determinato assegnando incarichi con durata superiore ad un anno.
5. Attuazione dei criteri dell’ICF con incorporazione del Profilo Dinamico Funzionale nella Diagnosi Funzionale che verrà effettuata anche con la presenza di un docente e della famiglia.
6. Fissazione di un tetto massimo al numero degli alunni per classe quando è presente almeno un alunno con disabilità e del numero di alunni con disabilità certificata nella stessa classe.
7. Formazione iniziale e in servizio e continuità educativa per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione di cui all’art. 13 comma 3 della L. 104/92.
8. Formazione e rispetto del genere degli alunni con disabilità nell’assegnazione di assistenti materiali per la loro assistenza igienica (personale ATA).
9. Tentativo obbligatorio di conciliazione prima di qualunque controversia relativa a composizione della classe, assegnazione di ore di sostegno e di assistenza per l’autonomia e la comunicazione.
10. Valutazione del livello della qualità inclusiva della classe e della scuola tramite l’individuazione di indicatori di qualità strutturali, di processo e di esito nell’ambito dell’applicazione del D.Lvo n° 80/13 sulla valutazione del sistema scolastico.
11. Istituzione di un comitato interministeriale per le politiche inclusive che si avvale anche dell’Osservatorio Ministeriale sull’inclusione scolastica retto dal MIUR.
12. Istituzione di gruppi di lavoro interistituzionali regionali (GLIR) composti da esperti degli Assessorati regionali competenti, delle ASL, dell’ANCI, dell’UPI, dell’USR e da rappresentanti delle Associazioni di persone con disabilità. I GLIR hanno i loro terminali nei CTS a livello provinciale e nei CTI a livello subprovinciale. Abrogazione della normativa sui GLIP e trasferimento ai GLIR delle loro competenze e risorse umane e materiali.
13. Finanziamento dell’aggiornamento permanente.
Conclusioni
In tema di disabilità la scuola può fare molto.
Non mi riferisco al fatto di mettere diffusamente in pratica, senza alcun taglio sui diritti all’istruzione di ogni alunno, anche con disabilità, una delle leggi sulla carta più avanzate come quella italiana in tema di inclusione scolastica. Non mi riferisco neppure alla qualità e alla continuità del sostegno, né alla necessità di una sempre migliore preparazione degli insegnanti e degli assistenti personali, né ad una proficua collaborazione tra gli insegnarti curricolari e quelli di sostegno. Tutto ciò dovrebbe essere scontato, anche se non sempre lo è, purtroppo. Mi riferisco invece al fatto che, oltre al sostegno, la disabilità dovrebbe essere al centro anche di progetti di educazione per tutti gli altri alunni della classe. La questione della disabilità (che coinvolge tanti alunni, tante famiglie, oltre il 10% della popolazione) deve poter rappresentare un’occasione didattica e pedagogica per costruire gli elementi di una cultura di rispetto attorno alla disabilità, un’educazione rivolta a tutti gli alunni. Su questo versante, l’iniziativa educativa è spesso lasciata all’eventuale volontà di alcuni docenti, ad alcune occasioni didattiche, ludiche, formative e alla spontaneità relazionale tra alunni. È tuttavia noto che iniziative sporadiche più o meno strutturate o di tipo spontaneistico non producono, nel lungo termine, gli impatti sperati.Tali modalità non costruiscono una cultura consolidata attorno alla disabilità, non permettono di comprenderne a fondo le problematiche (lasciando gli alunni impauriti o sprovvisti di mezzi di fronte alla disabilità), né producono comportamenti inclusivi di lungo periodo.Una volta separatesi le strade dal compagno con disabilità, gli alunni sembrano spesso dimenticare la questione, ritornare indifferenti, diventando così, come gli adulti, gli inconsapevoli riproduttori di un senso comune stigmatizzante. Educare alla disabilità deve essere parte di una pedagogia capace di fare i conti con la soggettività dell’altro e con le sue diversità. È un’educazione che dovrebbe mirare a produrre prolungati comportamenti e azioni da mettere in pratica nelle concrete relazioni, non un’effimera pedagogia dei buoni sentimenti, né di pietistiche e socialmente inoperanti solidarietà