Il tema è di quelli spinosi, quasi un qualcosa di cui si ha il timore di parlare; eppure chi, come noi, vive queste realtà quotidianamente, sa bene che quello del “dopo di noi” è uno dei temi più ricorrenti e di sempre maggiore attualità tra coloro che si trovano nella condizione, o nell’obbligo, di doverlo affrontare. Qualsiasi genitore è preoccupato per il futuro dei propri figli ed è facile immaginare quante e quali possano essere le preoccupazioni di coloro che hanno figli disabili, soprattutto gravi o gravissimi. La quotidianità di genitori ci impone, ogni giorno, di dover affrontare anche le difficoltà dei nostri figli e la consapevolezza del domani rende ancor più angoscioso il costante pensiero di quello che attenderà coloro che, per l’appunto, verranno “dopo di noi”.
Questo accade ogni giorno, per ognuno di noi, anche per i genitori dei cosiddetti normodotati. Proviamo ora a ribaltare il discorso ed immaginiamo cosa possa provare un genitore che non solo è consapevole dell’avanzare della propria età, ma è anche conscio delle realtà quotidiane e delle difficoltà che vive e che vivrà in futuro il proprio figlio disabile. La domanda è di quelle che non fanno dormire la notte: cosa sarà di lui quando io non ci sarò più? Se poi il genitore è uno solo, o in famiglia non si hanno fratelli o sorelle, quella che può sembrare una grande difficoltà rischia di trasformarsi in una angosciosa ricerca della quale si sa già, in partenza, di non avere risposta.
È un tema che, come è facile comprendere, non riguarda solo la famiglia intesa come nucleo fondatore della società, ma si allarga e si trasforma in un vero e proprio “problema sociale”. A questo tema, il mondo della politica non è restato insensibile, né sarebbe potuto esserlo, data la gravità dello stesso e le implicazioni sociali che ne sarebbero derivate. Ed allora si è intervenuti con un primo step, e recentemente è stata approvata dalla Camera del Deputati la cosiddetta legge del “Dopo di noi” ormai prossima al passaggio al Senato. L’ANMIC ha già avuto modo, di recente, di esprimere il proprio parere su questo importante passaggio normativo, ma in questa occasione mi corre l’obbligo di ribadire alcuni concetti che credo possano arricchire la discussione su un tema che ci coinvolge da vicino e sul quale siamo da sempre in prima linea. La legge, inutile dirlo, rappresenta un tentativo concreto di sostenere tutte quelle persone con patologie non determinate dal naturale invecchiamento del passare del tempo, facendosi progressivamente carico della persona disabile durante l’esistenza in vita del genitore, disciplinando tramite la competenza delle Regioni la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e gli obiettivi di servizio che gli enti a ciò preposti, dovranno garantire. Senza entrare in complesse disquisizioni tecniche, pur apprezzando lo sforzo del legislatore, mi corre l’obbligo di sottolineare che, secondo l’ANMIC, occorrerebbe favorire maggiormente la deistituzionalizzazione del disabile favorendo, ed anzi incentivando, tutti quegli interventi domiciliari che possano concretizzarsi in una sua autonomia e in un progetto di vita “indipendente”, anche quando i genitori di tale soggetto non ci saranno più. Giuridicamente, dunque, si tratta di un buon punto di partenza che però dovrà necessariamente essere rivisto, ora che la legge è al vaglio del Senato, per risolvere alcune criticità, allo stato attuale inevitabili. Innanzi tutto andranno incrementati al massimo gli sforzi economici per favorire progetti di vita e presa in carico dei disabili gravi. Questo è un tema particolarmente importante che rappresenta per tutti i soggetti coinvolti, e dunque anche per le famiglie, il delicato momento in cui il progetto e la situazione più consona al disabile, inizialmente creati dal genitore, possano trasferirsi al figlio creando a questi il minor trauma possibile. Anzi cercando, in un certo senso, di trasferire, a suo beneficio, tutto quanto sia stato fatto in tal senso e favorendo al massimo, nei confronti del figlio disabile, quella qualità di vita di cui ha potuto usufruire fino alla scomparsa del genitore. Dunque evitare, per quanto possibile, l’istituzionalizzazione del soggetto; il fine è quello di rassicurare il genitore che, dopo la sua scomparsa, i loro figli potranno essere supportati da soluzioni realmente praticabili che garantiscano concretamente quel livello di vita che ogni genitore si è preoccupato di organizzare per chi gli succederà. Un altro spinoso problema è quello dei mezzi tecnici, giuridici ed economici, con cui il legislatore si è preoccupato di garantire che ciò possa avvenire. E qui le note si fanno più dolenti perché, a nostro avviso, si sono individuati strumenti non sempre adeguati e strade difficilmente percorribili. Il caso forse maggiormente controverso è quello del “trust”, uno strumento che, nel nostro Paese, non è neanche ben definito dal legislatore, e che può funzionare solo in presenza di determinate condizioni e soprattutto di ingenti patrimoni vincolati all’assistenza del soggetto disabile. Su questo tema mi sento di essere particolarmente critico perché, nella gran parte dei casi, si tratta di beni materiali finalizzati ad assicurare al disabile una vita decorosa e priva di inutili traumi: la casa di famiglia, ad esempio, o l’esistenza di un fondo vincolato alle sue necessità quotidiane o un deposito di denaro atto alla sua giornaliera assistenza. In questi casi, che sono a mio avviso la stragrande maggioranza, lo stesso codice civile prevede già strumenti ed istituti atti a questo scopo: il testamento, l’usufrutto, la donazione o la rendita vitalizia; strumenti la cui combinazione, insieme ad opportune detrazioni fiscali, potrebbero agevolmente favorire lo scopo che il genitore si prefigge di raggiungere: garantire al proprio figlio la migliore assistenza possibile in vista di un domani già di per sé difficile e complesso. Bisognerà dunque vigilare attentamente perché questa non divenga una “occasione perduta”, ma anzi possa essere una strada percorribile per aiutare il legislatore da un lato ed il disabile dall’altro per trovare le soluzioni più adeguate per questo tema delicato. L’ANMIC dovrà dire la sua e, come sempre, vigilare per il bene di chi difende, da ormai alcuni decenni.