Una recente sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite (Cass. SSUU n. 25767/2015) sul c.d. “diritto a non nascere se non sano” ha riaperto un dibattito sui diritti della persona e sulle tutele offerte dall’Ordinamento che, oltre a valutazioni di tipo giuridico, coinvolge aspetti e principi filosofici ed etico religiosi.
Il nostro sistema giuridico, a partire dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, è informato al principio della ontologica diversità del “valore giuridico della persona” rispetto alla “categoria del diritto soggettivo”.
Di qui i caratteri della indisponibilità, irrinunciabilità, intrasmissibilità ed imprescrittibilità del diritto della persona e la tutelabilità attraverso azioni di tipo inibitorio e risarcitorio. Una manifestazione fondamentale del valore giuridico di persona è la “vita” quale fenomeno naturale dell’esistenza fisica.
Ora, mentre “il diritto alla vita” è oggetto di una piena tutela costituzionale, civilistica e penalistica, su alcuni aspetti di tale diritto è aperto e fervente un dibattito in dottrina, in giurisprudenza e in particolare in ambito politico.
Si tratta della configurabilità e tutelabilità del “diritto a non nascere”, del “diritto a non nascere se non sani”, del “diritto di morire”.
In particolare la sentenza della Cassazione richiamata ha affrontato la prima e la seconda di tali problematiche indagando se dai principi del nostro Ordinamento possa ricavarsi la sussistenza in capo al nascituro, affetto da gravi malformazioni o anomalie che possono compromettere le condizioni e la qualità della vita dopo la nascita, di un c.d. “diritto a non nascere” o di un “diritto a non nascere se non sano”.
L’occasione di tale decisione della Corte nasce da una citazione in giudizio per risarcimento danni promossa da due genitori in nome proprio e per conto della figlia che era risultata affetta da sindrome di down non diagnosticata, nonostante l’effettuazione di esami all’epoca del concepimento.
La Corte, preliminarmente, ha esaminato la questione di ammissibilità in astratto dell’azione del minore volta al risarcimento di un danno assunto ingiusto, cagionatogli durante la gestazione.
I Giudici hanno ritenuto di superare l’impedimento frapposto dall’articolo 1 del codice civile che richiede la contestualità dell’esistenza del soggetto titolare del diritto (capacità giuridica acquisita al momento della nascita), e l’evento produttivo del danno.
A tal proposito dice la Corte “alla tutela del nascituro si può pervenire, in conformità con un indirizzo dottrinario, senza postulare la soggettività - che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi - bensì considerandolo oggetto di tutela”.
Tale principio è desumibile da una serie di norme tra cui si evidenziano l’articolo 1, primo comma, della legge 19 Febbraio 2004 n. 40 ( Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) che annovera tra i soggetti tutelati anche il concepito, l’articolo 1 della legge 22 Maggio 1978 n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza) che retrodata la tutela della vita umana a prima della nascita.
Sotto il profilo concreto il soggetto nato con disabilità può agire in giudizio laddove la sua condizione sia imputabile ad una responsabilità del medico, mentre, sempre secondo la Corte, non esiste un diritto a non nascere e a non nascere se non sani.
In sostanza, se il medico che assiste la donna in stato di gravidanza, non si accorge dei problemi seri di salute del concepito e delle conseguenze di una patologia contratta dalla donna che abbia riflessi sulla salute del figlio, e questo possa ascriversi alla c.d. colpa medica, sarà possibile esperire una azione risarcitoria per i danni subiti, sia da parte dei genitori che del minore.
Al di fuori di tali ipotesi e in relazione al secondo profilo, scrutinando il contenuto del diritto che si assume leso, il danno risulterebbe legato alla stessa vita del minore mentre l’assenza del danno alla sua morte.
In questo assunto la tesi di ammissione del risarcimento sconta “una contraddizione insuperabile dal momento che il secondo termine di paragone, nella comparazione tra le due situazioni alternative, è la non vita … e la non vita non può essere un bene della vita”.
Pertanto un bene che non appartiene alla vita non è tutelabile e nessuna norma del nostro Ordinamento prevede un diverso principio.
La situazione degli altri Ordinamenti è del tutto analoga.
Sia la New Jersey Supreme Court 6 Marzo 1967 (inammissibilità del riconoscimento per improponibilità del confronto tra vita con malattia e non vita) sia le Corti superiori della maggior parte degli Stati degli USA, sia la BGH in Germania che la London Court of appeal in Inghilterra hanno sancito lo stesso principio.
Solo in Francia la Cour De Cassation, con decisione del 17 Novembre del 2000 (c.d. affaire Perruche) aveva riconosciuto il diritto al risarcimento ex delicto ad un nato affetto da grave malattia non diagnosticata durante la gravidanza.
Tale sentenza però portò il legislatore francese, con la Loi relative aucs droits de malades et à la qualite du sisteme de santè del 4 Marzo 2002 a riaffermare i canoni tradizionali, prescrivendo che nessuno può far valere un pregiudizio derivante dal solo fatto della nascita e che la persona nata con un handicap può ottenere il risarcimento solo se il danno è stato conseguenza di colpa medica.
La riconducibilità alla colpa medica dell’unico diritto risarcibile per il minore nato con handicap apre un’altra strada, rimasta ancora inesplorata, e cioè quella della configuarabilità di una analoga responsabilità della madre che, sulla circostanza contemplata dall’articolo 6 della legge n. 194/78, benché correttamente informata, abbia portato a termine la gravidanza, dal momento che riconosce il diritto di non nascere malati “comporterebbe, quale simmetrico termine del rapporto giuridico, l’obbligo della madre di abortire”.
L’attuale Ordinamento non riconoscendo tutela al presunto diritto a non nascere o a non nascere se non sani, è indirizzato a “ritenere compensabile la penosità delle difficoltà cui il nato andrà incontro nel corso della sua esistenza, a cagione di patologie in nessun modo imputabili eziologicamente a colpa medica, mediante interventi di sostegno affidati alla solidarietà generale: e, dunque, nella sede appropriata alla tutela di soggetti diversamente abili e bisognosi di sostegno per cause di qualsivoglia natura”.
Infine, non mancano nella decisione valutazioni di tipo etico: il riconoscimento della risarcibilità del danno per lesione del diritto a non nascere se non sani, costituisce una “impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza ed assistenza sociale e porta il rischio di una deriva eugenetica e di una reificazione dell’uomo, la cui vita verrebbe ad essere apprezzabile in ragioni dell’integrità psico-fisica”.