Una nuova sentenza, della quale per alcuni versi davvero non ne avvertivamo il bisogno, ha suscitato tanto clamore da meritare le pagine dei quotidiani economico-giuridici e non solo, ma che, nella sostanza, non ha fatto altro che confermare principi ovvi e digeriti, adottando una soluzione che altrimenti non avrebbe potuto essere. A volte l’ostinazione delle parti e degli avvocati scatena una deriva masochista fino a giungere al punto di vedersi rifiutare ciò che già sappiamo non essere esigibile. Può mai il datore di di lavoro mantenere in piedi una postazione lavorativa improduttiva, e da sopprimere, solo perché il dipendente che assiste il disabile non vuole o non può andare altrove? Anche il buon senso ci direbbe di no! Se il datore di lavoro sopprime il posto o la postazione, il dipendente pur anche beneficiario della legge 104/92 deve trasferirsi altrove, ecco perché qualcuno ha titolato “Per chi assiste un disabile possibile il trasferimento”. Questo in poche parole e senza tecnicismi, il succo della situazione.
Invece commentiamo ora la sentenza n. 12729/2017 licenziata dalla Cassazione ed accolta con tanto fragore. Essa trae origine dall’impugnativa di un trasferimento illegittimo e, l’appello ai dettami dell’art 33 comma 5 della legge 104/92 (il quale recita testualmente “il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”), è soltanto uno dei motivi che ha spinto la ricorrente (capo tecnico radiologo di una ASL capitolina), ad impugnare il trasferimento. Se vogliamo, è il motivo residuale, considerando che l’intera vicenda è da agganciare ad un pregresso giudizio penale. Giudizio definito, nelle more, dalla stessa Cassazione e volto a censurare il trasferimento come atto ritorsivo per il rifiuto della dipendente di sottoporsi alle offerte del superiore gerarchico. Il motivo è stato considerato dalla Corte “una censura, tardivamente proposta, e pertanto inammissibile”. Così come inammissibile per difetto di rilevanza è stato ritenuto il motivo relativo alla distanza dei due presìdi (quello soppresso e quello di nuova destinazione), essendo contemplato nel CCNL del settore sanità l’utilizzazione del personale in strutture situate nel raggio di 10 km dalla sede di assegnazione.
In definitiva, l’unico motivo ammissibile, ma non fondato, era quello relativo alla circostanza che il dipendente prestava assistenza ad un familiare disabile. Quindi, la suprema Corte non ha dettato alcuna linea innovativa se non quella di ripetersi su quanto affermato con la sentenza del 2012, la n. 25379, laddove chiarisce che la disposizione di cui all’art. 33 comma 5 della legge 104/92 “deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello (del disabile), provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte”. Nel caso che ci occupa le esigenze aziendali effettive c’erano tutte, consistenti nella chiusura del servizio di radiologia presso il presidio di provenienza e nella vacanza del posto attinente al profilo della ricorrente, presso il presidio di destinazione.
La conseguenza della vicenda in oggetto è una vera riaffermazione da parte della Corte di Cassazione dei diritti dei disabili e dei loro familiari lavoratori che li assistono, ricomprendendovi anche il caso in cui la disabilità dell’assistito non sia grave.
L’occasione ci è invece propizia per rammentare che, chi assiste un disabile riconosciuto tale ai sensi dell’art. 3 comma 3 l. 194/92, ha il diritto di richiedere fino a tre giorni di permesso mensile oppure, come chiarito dalle circolari INPS succedutesi nel tempo, una o due ore di permesso giornaliero a seconda dell’orario di lavoro, fino ad un massimo di 18 ore mensili. I permessi spettano ai disabili in situazione di gravità; ai genitori, anche adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità; al coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto, parenti e affini entro il 2° grado di familiari disabili in situazione di gravità o entro il 3° grado in casi particolari. Non esistono al riguardo termini ed obblighi preventivi di programmazione. Ci si affida alle esigenze del lavoratore ed alla sensibilità dello stesso e del datore di lavoro, con la facoltà di organizzarsi, ove possibile, con congruo anticipo, se trattasi di permessi per attività programmate, fermo restando, in caso si assoluta necessità, la possibilità di fruire del permesso giornaliero ad horas.