In questa nostra società in cui si mira al miglior funzionamento di tutto, fino ad inventare la parola “ottimizzazione”, da “ottimizzare”, verbo crudele verso ogni difetto, ci si affretta a definire come equilibrio una situazione di apparente stabilita che, ahimè, oggi viene ricorrentemente messa in discussione, insieme alla percezione dei limiti e della fragilità di tale status.
Ma se si considera che il cosiddetto “pensiero positivo”, l’iperattività e l’affarismo comportano la negazione dell’incertezza ed eliminano il pensiero che si interroga, la critica, l’autocritica e una buona consapevolezza di sé, allora ben venga una leggerissima “depressione” che ci renda più pregni e sensibili verso le vere problematiche che attanagliano la vita di tutti i giorni!
Infatti il nostro tempo è segnato da un cambiamento frenetico per cui basti pensare alla Brexit, che ha sconvolto un piano razionale voluto e seguito, iniziato a Roma nel 1960, e banalmente annullato con un referendum di cui nessuno poteva prevedere gli effetti negativi.
L’equilibrio europeo ne è stato inizialmente sconvolto, anche se poi la macchina è ripartita ma con effetti collaterali negativi che questa decisione apporterà: siano essi di natura politica, economica o sociale.
E’ innegabile che viviamo momenti di grande tensione, dovuti anche alla bipartizione tra oriente ed occidente con cui viene “diviso” il mondo, in perenne conflittualità convergente sulla problematica religiosa, economica e politica.
Che dire di episodi che hanno visto le città come terra di attentati o di tentati golpe; chi avrebbe mai potuto immaginare che Nizza, con la sua meravigliosa Promenade des Anglais sarebbe stata oggetto di azioni omicide e distruttive? Oppure nazioni come la Turchia che vede compromessa una libertà e laicità che, dopo un secolo di ininterrotto esercizio, vede negato uno statu quo che nessuno fino ad allora era riuscito ad intaccare.
La riflessione nasce spontanea e ci chiediamo dove si vada e cosa fare; tanti sforzi che finora sono stati consacrati all’innalzamento della dignità umana raggiungeranno la finalità preposta? Io credo che sia necessario continuare a “camminare” tenendo presenti le difficoltà del momento e non lasciarsi sopraffare dallo scoraggiamento. Non dobbiamo accettare l’imposizione di chi vorrebbe solo “condurre” una politica finalizzata agli interessi di pochi “burattinai” che vorrebbero manovrare le fila delle nostre esistenze!
Questa mia certezza mi viene anche nella storia della nostra ANMIC di cui il giorno 14 Aprile 2016 abbiamo celebrato, nella Sala della Regina di Montecitorio, il 60° anniversario della sua fondazione. Ripercorrendo questo passato glorioso, rivivendo quelle storiche iniziative, ricordando insieme a tutti voi che da sempre ci seguite, le marce del dolore, le battaglie in piazza, le tante manifestazioni, mi rendo conto che noi dobbiamo proseguire su quella strada che ci consenta di raggiungere quelle mete che rappresentano i nostri “diritti. Questo incoraggiamento lo abbiamo avuto dalla presenza di ministri, parlamentari che con noi hanno rivissuto questi sei decenni, anche attraverso un libro ed un filmato che abbiamo realizzato per l’occasione. Il loro è stato un monito di incoraggiamento che ci consente di proseguire nel duro lavoro senz’altro divenuto più difficile.
Ma che ci vedrà sempre coesi verso il raggiungimento del bene e del miglioramento della categoria degli invalidi civili che sempre ci vedrà in prima linea, senza timore per esercitare quella tutela e rappresentanza che da tanti anni la legge ci ha riconosciuto. Ecco anche perché durante i recenti lavori svoltisi a Salsomaggiore Terme con il convegno su disabilità e lavoro, del 16 e 17 giugno 2016, che ha visto riuniti i presidenti provinciali ANMIC, tanti ospiti altamente qualificati e politici, abbiamo voluto riproporre le problematiche della formazione, del collocamento mirato, della flessibilità. Temi questi che rivestono sempre una grande attualità e necessità di miglioramento per la nostra categoria.
Non voglia questo mio articolo essere un monito, ma semplicemente un invito a continuare sulla via che ha tracciato chi ci ha preceduto: quella della rivendicazione, del rispetto delle autorità, della giustizia e della fermezza delle nostre richieste, che non possono essere considerate se non come “diritto”.